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Settecentocinquantesimo anniversario della nascita di dante

Figure femminili della Commedia

Piccarda Donati

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Dante e Piccarda di Philipp Veit

“Quali per vetri trasparenti e tersi,

o ver per acque nitide e tranquille,

non sì profonde che i fondi sien persi,

tornan d’i nostri visi le postille

debili sì, che perla in bianca fronte

non vien men forte a le nostre pupille;

tali vid’io più facce a parlar pronte;

per ch’io dentro a l’error contrario corsi

a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte..”

Nel canto terzo del Paradiso, sulla superficie della luna, Dante vede volti con l’espressione attenta di chi vuole parlare, ma così diafani che è convinto siano immagini riflesse. I versi preludono al colloquio con Piccarda Donati, fiorentina, monaca clarissa, rapita dal convento dal fratello Corso perché sposasse per motivi politici Rossellino della Tosa, influente esponente dei Guelfi Neri. Pare che subito dopo il matrimonio Piccarda si ammalasse e morisse. Consapevole memoria biografica e riferimento alla missione di salvezza s’intrecciano  nell’episodio e diventano fulcro del rapporto passato-presente su cui si snoda l’intera Commedia.  La similitudine espressa dalla perla in bianca fronte, è delicatamente allusiva alla moda femminile di ornarsi il capo con un diadema di perle col cui splendore gareggiava la  carnagione  diafana della donna, secondo i canoni della bellezza del tempo. Ma evoca anche il colore bianco, lunare, che caratterizza la scena che si presenta al poeta  con effetto tanto straniante da farlo incorrere  nell’errore contrario a quello di Narciso. Il procedimento stilistico usato da Dante per dare inizio al colloquio con Piccarda appare in tutto simile a quello usato per Matelda : reminiscenza ovidiana ( Matelda – Proserpina,  Dante- Narciso) e realismo ( perla-danza) di marca stilnovista per la grazia stilizzata  delle immagini e la dolcezza dell’elocuzione.

piccarda dalì

Piccarda- S. Dalì

La dolce guida ,Beatrice, chiarisce al poeta che quelle che vede sono sustanze, anime, e non immagini, poste nel cielo della luna perché mancarono ai loro voti. Il poeta si rivolge allora all’anima che sembra più desiderosa di parlare:

“O ben creato spirito, che a’ rai

di vita eterna la dolcezza senti

che, non gustata, non s’intende mai,

grazioso mi fia se mi contenti

del nome tuo e de la vostra sorte…..

I’ fui nel mondo vergine sorella;

e se la mente tua ben sé riguarda,

non mi ti celerà l’esser più bella,

ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,

che , posta qui con questi alri beati,

beata sono in la spera più tarda…..

Perfetta vita e alto merto inciela

Donna più sù , mi disse, a la cui norma

nel vostro mondo giù si veste e vela,

perché fino a morir si vegghi e dorma

con quello sposo ch’ogne voto accetta

che caritate a suo piacer conforma.

Dal mondo, per seguirla giovinetta

fugg’mi, e nel suo abito mi chiusi

e  promisi la via della sua setta.

Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,

fuor mi rapiron de la dolce chiostra:

Iddio si sa   qual poi mia vita fusi…

Così parlommi, e poi cominciò Ave,

Maria cantando, e cantando vanio

Come per acqua cupa cosa grave.”

Piccarda rivela una natura nobile e delicata anche nel ricordo del rapimento e della sua intima sofferenza. Tuttavia dolcezza e femminilità sono anche sinonimi di debolezza e di imperfezione, di legame con i sensi che regolano la vita delle donne. Non si deve dimenticare che anche la perfetta Beatrice, cede il passo a S. Bernardo quando Dante giunge alla presenza di Dio.

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                                             Piccarda -Gustave Dorè

Gabriella Maggio

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