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Un ricordo di Paul Auster

 

Il 30 aprile 2024 è scomparso Paul Auster scrittore, ma anche poeta, regista, saggista , sceneggiatore statunitense. Ha dedicato la sua vita alla scrittura : Si scrive per necessità non per scelta, diceva, è come una malattia da cui non si guarisce….. È la paura che ci spinge a correre dei rischi e ad andare al di là dei nostri normali limiti, e qualunque scrittore che senta di muoversi su un terreno sicuro difficilmente produrrà alcunché di valido. Nelle sue opere  ha affrontato i  temi cruciali della vita come il rapporto col padre, il destino, l’identità, la memoria, la piatta quotidianità, gli intrecci delle coincidenze. Molti sono i suoi libri importanti come “La trilogia di New York”, Città di vetro, Fantasmi, La stanza chiusa “ nella quale racconta storie di detective che inseguono se stessi e  scrittori che si identificano in altre persone con evidenti  tratti autobiografici caratterizzati dalla solitudine. Auster spesso ha disarticolato i confini tra le sue  singole opere e quelli tra i generi letterari, cedendo alla metaletteratura. Il suo stile in apparenza semplice nasconde un’architettura complessa. L’ ultimo romanzo Baumgartner  affronta il tema della memoria. Il ricordo  della moglie,  diventa per il protagonista  un  vero motore nostalgico verso il vissuto in continuo cambiamento verso il declino:

Anna era al suo fianco, hanno camminato insieme e chiacchierato dal principio alla fine, ascoltandosi e parlandosi mentre entravano e uscivano dalle stanze della memoria, rivisitando centinaia di piccole e grandi cose vissute in quei quarant’anni. Inutile dire che Anna non era lì in carne e ossa, ma leggendo le sue lettere e i suoi manoscritti per la prima volta da Dio sa quanto, Baumgartner ha ritrovato la sua voce, e studiando le innumerevoli foto che lui e altri le hanno scattato nel corso della sua vita, ha ritrovato il suo corpo. Non il suo vero corpo, è logico, né la sua vera voce – ma quasi

La perdita della memoria a breve termine sembra diventare un passaggio obbligato che porta al declino. Eppure il professore non desiste e con i suoi esercizi quotidiani, cerca di non collassare e arrendersi all’avanzare del tempo:

Un tempo la chiamavano senilità. Ora il termine è demenza ma, gira e rigira, Baumgartner sa che, se pure farà quella fine, gli manca ancora un bel po’ di strada per arrivarci. Riesce ancora a ragionare, e siccome riesce a ragionare, riesce ancora a scrivere, e anche se adesso ci mette un po’ di più a finire le frasi, il risultato è più o meno lo stesso. 

 

 

 

 

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