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Nadia Terranova “Quello che so di te “ ed. Guanda, 2025, € 19.00

Tra storia personale e Mitologia  Familiare, tra documenti  e immaginazione, tra storia della città di Messina e storia della medicina, nel più ampio contesto della storia italiana si sviluppa la narrazione di “Quello che so di te” di Nadia Terranova, Guanda 2025. Il pregio del romanzo sta nell’intreccio sapiente dei vari temi, nella fluidità del tempo narrativo intrecciato tra passato e presente, nell’uso della lingua che include il linguaggio della medicina ed il dialetto. Nadia Terranova  incontra per la prima volta la bisnonna Venera, morta da tempo, a otto anni, l’occasione è data da  una partita  a cucù con la madre e le zie. Costretta dalla madre a rompere il silenzio imposto  dalle regole del gioco, pur di non esserne  esclusa, mugugna con disappunto. Una zia riconosce nel mugugno quello di sua nonna Venera, detta “mussu cuciutu”. La donna infatti parlava poco e spesso emetteva mugugni, soprattutto dopo gli undici giorni trascorsi all’Ospedale psichiatrico “Mandalari.” Da questo momento la scrittrice  comincia a  sognare Venera: ”  giovane, si stringe nel soprabito, non parla, non è spaventata e non spaventa”. Indugerà a lungo  in questo colloquio onirico, alimentato  dalla Mitologia Familiare, che ha il ruolo di personaggio come il Coro della tragedia greca. Ma, dopo la nascita della sua bambina, quando Nadia Terranova  può tornare  a scrivere  accade che “Venera è uscita dalle mie notti e mi si è incarnata sul corpo”. Allora avverte come ineludibile l’indagine sulla vita della bisnonna, soprattutto sugli undici giorni trascorsi nell’ospedale psichiatrico Mandalari. Quale la causa, perché un soggiorno breve, quali cure ha ricevuto sono le domande che l’assillano. Non si accontenta della Mitologia Familiare e comincia ad indagare, a cercare i documenti della pazzia di Venera nell’archivio dell’ospedale psichiatrico. Il suo  scopo è quello  di allontanare la paura che la pazzia si trasmetta alla figlia per via transgenerazionale:  “I figli invece si proteggono, si strappano alle rovine…Scrivere dopo una figlia significa esporti al doppio della fatica: devi fermarti dopo pochi passi per tirarla fuori dalle macerie, mentre il tuo disturbo corre giù per la linea delle antenate. Mi guardo le mani alla ricerca di una forza antica, caccio Venera e la sua pazzia. Non posso più permettermela ” . Il racconto della storia di Venera è intercalato da riflessioni e considerazioni personali dell’autrice, notizie che riguardano il cambiamento dei luoghi cittadini, le cure mediche negli ospedali psichiatrici e la condizione femminile negli anni ’20 e ’30 del ‘900. Il ritrovamento dei documenti relativi al ricovero in ospedale, all’anamnesi, alle dimissioni, alla guarigione di Venera rivelano la fallacia e la reticenza della Mitologia Familiare. La scrittrice esamina con attenzione gli scarni documenti d’archivio, che le appaiono monchi, sente la mancanza della versione autentica di Venera : “La verità è quella che ci raccontiamo per sopravvivere, tutte le voci della Mitologia Familiare ne hanno scelta una, me compresa “. Il racconto privilegia la linea matrilineare, lasciando in ombra gli uomini, tra questi spicca necessariamente il  “granatiere” , il marito di Venera, ora considerato  un Barbablù che  chiude la moglie in manicomio, ora un uomo lacerato e insicuro. A parte stanno   il marito di Nadia Terranova che  la asseconda  e  incoraggia : “forza, inventalo di più”ed anche il secondo marito della madre che si riscatta come nonno affettuoso: “ Voler bene all’uomo che ama mia madre, e che mia madre ama, è diventato naturale, quasi contro la mia volontà”. Sul mondo maschile sembra gravare ancora sulla scrittrice il trauma del suicidio del padre.  “Quello che so di te”, assume , pagina dopo pagina  le caratteristiche di un esercizio di autoanalisi  attraverso la scrittura : “Io ho finito per creare una mitologia nuova: la mia….Scrivere è creare un incantesimo: se o scrivo, accade. Scrivere è spezzare un incantesimo: se lo scrivo non accade più”. La letteratura sa come inventare la realtà.(Gabriella Maggio)

 

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