Sostienici con le donazioni

Home » Letteratura » Mi limitavo ad amare te

Mi limitavo ad amare te

Mi limitavo ad amare te, il nuovo romanzo di Rosella Postorino edito da Feltrinelli, è ambientato  durante il conflitto tra Serbia e Bosnia Erzegovina , nella primavera del 1992. Sulla trama della grande storia  si inserisce  quella  di tre  bambini  che per motivi diversi vivono in un orfanotrofio a Sarajevo, Omar, suo  fratello Sen, Nada. Tra questi Omar è il più sensibile e soffre per la separazione dalla madre che non ostante il pericolo quasi  ogni settimana  lo va a trovare.  Omar “aveva dieci anni, e da cinque viveva nel tormento della sua mancanza, passava la settimana alla finestra, in ginocchio su una sedia ad aspettare”. Al contrario il fratello Sen, che già fuma e si atteggia ad adulto, non vuole  incontrare la madre  di tanto in tanto”  come se fosse una zia “e non va mai all’appuntamento. La narrazione ha inizio con l’ultima passeggiata di Omar insieme alla madre quando “le finestre tremarono, i colombi si scagliarono in volo, la girandola girò e cadde dal vaso, ma il bambino non se ne accorse: una raffica d’aria lo strappò all’abbraccio scaraventandolo via….”corri!” Il bambino girò di scatto la testa: era la voce di sua madre, ma da dove veniva?”Mamma “. La cercò nella calca..”Dove sei?”gridò correndo…” Da questo momento  Omar  vive  nella speranza di ritrovarla viva, “Non aveva mai avuto  un amico, non aveva mai anelato la compagnia di nessuno, a parte la madre, il fratello. Ma ora quella bambina era diventata un desiderio”.La  piccola  Nada è stata abbandonata dalla madre, trascorre il tempo a disegnare da sola, è taciturna e cerca di nascondere la mancanza di un  anulare per non essere derisa o offesa dagli altri bambini. Il suo nome  in serbo significa Speranza e per Omar soprattutto rappresenta la possibilità di un affetto, di una solidarietà. Quando l’orfanotrofio viene bombardato tutti i bambini sono trasferiti in Italia su un pullman dell’O.N.U. Durante il viaggio Omar, Sen e Nada  conoscono  Danilo, un ragazzo benestante che la famiglia, umiliata dalle violenze dei soldati, incita ad abbandonare Sarajevo per   sottrarsi  ai pericoli e all’abbrutimento della guerra. Da questo momento le loro vite  s’intrecciano  in un sodalizio che surroga il legame con la famiglia, lontana o inesistente, con la  terra d’origine, con la lingua, che purtroppo cominceranno a dimenticare. Sen e Danilo reagiscono subito positivamente allo sradicamento dalla loro terra, vogliono vivere, inserirsi nella nuova società  e lasciarsi il dolore alle spalle. Omar invece resta per sempre legato alla madre, al rimorso di non averla cercata dopo l’esplosione e, diversamente da Sen,  rifiuta l’inserimento nella famiglia adottiva  e nella scuola. Nada  non viene adottata  forse per il suo carattere ribelle  e rimane  nell’istituto che l’ha ospitata da profuga, coltivando  la sua passione per il disegno, fino a quando, dopo una breve relazione con Danilo,  non mette al mondo  un figlio e deve trovare un lavoro per mantenerlo.  Danilo, preso dagli studi e dalla volontà di affermarsi, di fidanzarsi con una ragazza italiana, non dà più notizie di sé a Nada  e  per nove anni sarà ignaro anche  della sua paternità. Ne viene a conoscenza quando è già sposato e sta per avere una  figlia. Omar invece si è isolato da tutti, vive con disagio la sua condizione  sempre  tormentato dai suoi fantasmi.   La narrazione,  suddivisa in quattro parti secondo un ordine cronologico, variato talvolta  dall’analessi, si svolge in terza persona, tranne nel capitolo 55 della quarta parte in cui è Nino, il figlio di Nada, il figlio della speranza, a raccontare. Solo attraverso questo bambino, amato ed accettato da tutti, anche se il padre non gli si rivela e resta soltanto come amico, può sciogliersi il nodo esistenziale di Omar. Ma questo è anche un modo per ribadire il tema fondante del romanzo : la complessità spesso drammatica  della relazione figli – genitori. Figli perduti e ritrovati, ma anche figli rifiutati o figli semplicemente amati, naturali o adottivi. Attraverso la storia dei  protagonisti, prima bambini, poi adulti, viene ribadita l’importanza dell’infanzia che determina  la vita di ciascuno. Per loro l’esperienza della guerra è stata  particolarmente tragica perché  ha sconquassato l’ambiente in cui bene o male provavano  a vivere. Il romanzo affronta anche  altri  temi come  quello dell’identità culturale  costituita dalla  lingua e quello  religioso, come assenza di Dio dalla storia e dalla vita di ciascuno: “Ma Dio era in esilio, lo era sempre stato” e di conseguenza quello della  teodicea. La crudezza della guerra è affidata alle pagine  in corsivo che completano la narrazione,avvicinandola al romanzo storico. In una di queste  si legge  intero lo sgomento della scrittrice, che si fa interprete del rovesciamento dei valori operato dalla guerra:  “ Per chi le scrivo, queste pagine, io ? Per la morte di una zanzara sul muro della mia stanza, per la morte che è ovunque, mentre voi parlate della vita, e la chiamate dono….Ma se la vita può putrefarsi nel buio fetido di un cassonetto, allora è nascere il peccato”. Ma anche la sua determinazione   a dare un senso universale alla sua opera  sollevando  il velo dei luoghi comuni e conferendo  alla scrittura il compito di svelare il vero senso delle azioni degli uomini. Il titolo del romanzo è un verso di  Izet Sarajlic, poeta, storico, filosofo bosniaco, tratto da “ Cerco la strada per il mio nome” : “Cosa facevo io mentre durava la storia ?/ Mi limitavo ad amare te.” L’apprezzamento del romanzo è certamente legato alle qualità dello stile narrativo e del linguaggio preciso e sintetico, ma anche al periodo storico che stiamo vivendo, all’aggressione  dell’Ucraina dove si ripetono  le  violenze e le atrocità proprie di ogni  guerra.

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *